L'allenamento della forza nel ciclismo: seconda parte...

20.01.2017

Nella prima parte, abbiamo valutato come l'allenamento della forza implichi miglioramenti in termini di potenza e di prestazioni; tuttavia, spesso il quesito alla base ci impone di chiederci se tale allenamento apporti migliorie nell'efficacia meccanica, o semplicemente se non rallenti la pedalata. Proviamo ad entrare a fondo nell' argomento.

Analisi dell'efficacia di pedalata...

Numerosi sono gli aspetti biomeccanici che influiscono sulla resa prestazionale, tra cui l'efficienza (in termini di resa) meccanica. Uno studio pubblicato nel 2012 sulla rivista International Journal Sports Physiology Performance ha analizzato le possibili migliorie in termini di efficacia della pedalata a seguito di allenamenti di forza a secco in combinazione ad altri di resistenza (volume). La ricerca ha analizzato come parametro principale la fase di trazione della pedivella dal punto morto inferiore a quello superiore (da 180° a 360° ore 6 e ore 12 di un quadrante di orologio), studiando i possibili benefici in termini di efficienza della pedalata (dato dal confronto dei due parametri di spinta del pedale e di trazione dello stesso). Un'evidenza ha verificato l'effetto dei training E+S (Endurance + Strenght) per capire i possibili vantaggi sul gruppo muscolare flessore dell'anca, in particolare durante la maggiore attivazione degli stessi, ovvero durante la trazione della pedivella, ipotizzando che un maggior trofismo di questi muscoli allenati a secco possano aiutare la stessa. La letteratura presente va a sostenere questa ipotesi, in quanto statistiche affermano che i ciclisti durante le competizioni impiegano l'80% della capacità aerobica nella fase di trazione della pedivella, andando quindi a rendere meno efficace la successiva di spinta a causa di un maggiore impegno muscolare del gruppo degli estensori (da 0° a 180° - Hansen et al., 2012; Vikmoen et al., 2015). Il protocollo dello studio preso in analisi prevedeva test su 20 ciclisti agonisti nazionali; i partecipanti hanno sostenuto allenamenti combinati E+S per 12 settimane effettuando 2 sedute a settimana di forza aggiungendo lavori di resistenza effettuati in bicicletta. 


Il protocollo di forza era finemente specifico per i ciclisti; tutti gli esercizi di forza sono stati svolti a secco utilizzando una leg press ed eseguendo proposte in modalità di mezzo squat con sovraccarichi. Il gesto tecnico è stato finemente adattato alla pedalata: infatti, la massima flessione-estensione dell'articolazione del ginocchio era compresa tra i valori di 90°, badando bene a non raggiungere la completa estensione dell'arto. Inoltre, è stata utilizzata la modalità single legin modo da caricare un arto per volta, tutto ciò per rendere l'esercizio specifico. I carichi hanno seguito un modello periodizzato incrementale, utilizzando per le prime 3 settimane un carico del 75% del massimale (inteso come 10RM). Successivamente alla quarta e quinta settimana il carico è stato incrementato all'85% (6RM), poi dalla 6°alla 9° settimana, è stato proposto alterando tra le due sessioni l'87% e l'80% del carico (8RM-5RM). Nelle seguenti 3 settimane si sono alternati i carichi tra le due sessioni del 90% e dell'85% (6RM-4RM). Ogni ripetizione ha rispettato il carico espresso in RM (8RM = 8 ripetizioni per arto). Sono stati valutati alla fine della sperimentazione gli eventi relativi ai momento di forza in fase di spinta (Tpos) e quello di forza in fase di trazione (Tneg). Analizzando lo studio, si nota come la coppia di fase di spinta (Tpos) sia incrementata nel gruppo E+S di 2 Nm. Pur essendo un valore molto esile (implemento del 3%), esso può comunque attestare la veridicità della metodica. Basso è anche il decremento riscontrato nella fase di trazione (Tneg), che si discosta di una sola unità. È da notare, inoltre, che la totalità dei dati sono frutto di misurazioni di coppia medie durante tutto l'arco dei test. In sostanza, lo studio ha dimostrato come un protocollo di allenamento E+S (Endurance + Strenght) determini un implemento dell'efficacia della pedalata, rappresentata dalla differenza tra la coppia positiva di spinta e la coppia negativa di trazione della pedivella. Le ipotesi di tale incremento possono ricondurre a un maggiore trofismo dei muscoli flessori della coscia ileopsoas e retto femorale. Questi vengono stimolati in maggior modo durante la leg press rispetto al gesto di pedalata, il che potrebbe giustificare questa miglioria. Tuttavia, studiando il profilo sperimentale non si sono riscontrate aumenti della CSA a favore di questo gruppo muscolare, il che rende la valutazione poco obiettiva. La migliore efficienza potrebbe essere causata da un maggiore reclutamento delle unità motorie a seguito di allenamento massimale a secco. Un'attivazione superiore dell'ileopsoas e del retto femorale contribuirebbe a livello biomeccanico a una maggiore trazione del pedale su cui grava il peso dell'arto, e quindi favorirebbe la fase di spinta dell'arto controlaterale. La ricerca ha anche mostrato piccole variazioni di RPM pre- e post-training (da 93RPM, a 95 RPM medi durante il test), il  che giustifica una maggiore potenza a favore degli arti; tuttavia, una crescita così ridotta non è statisticamente significativa ai fini dimostrativi. In conclusione, lo studio analizzato dimostra che lavori a secco effettuati con una modalità specifica per il ciclismo migliorano a livello neuromuscolare l'attivazione del gruppo flessorio, ampliando l'efficienza di pedalata implementando l'espressione di watta parità di prestazione eseguita.

Conclusioni

Dalla letteratura scientifica raccolta si evince come tutti i protocolli di allenamento adottati non abbiano portato a incrementi della VO2max, dato in realtà molto atteso in quanto un aumento del volume massimo di ossigeno consumato si riscontra solo in esercizi specifici di tipo estensivo. Il dato interessante è che la totalità dei protocolli di allenamento ha portato a una crescita del massimale isometrico senza però portare a ipertrofia. Questa combinazione vincente permette appunto di implementare forza e potenza per mezzo di adattamenti di natura neurale (sincronizzazione di scarica dei motoneuroni). Inoltre, si è notata la sola ipertrofia delle unità motorie di tipo II; quest'ultima ha permesso incrementi di forza e potenza senza un'ipertrofia dell'intera muscolatura. Un adattamento del genere è da attribuire ai protocolli utilizzati: sembrerebbe che l'aggiunta di qualche seduta di forza a secco, lavorando su carichi submassimali dell'entità di 4-6 RM (repetition maximum), con un numero ristretto di ripetizioni, porti agli adattamenti citati in precedenza. È da notare come in alcuni protocolli di allenamento di forza a secco effettuati su una leg press si sia cercato di ricreare la "pedalata", pur allenando un gesto differente: probabilmente, un'altra causa degli adattamenti riscontrati è dovuta alla sollecitazione di alcuni gruppi muscolari scarsamente attivati nella pedalata come gli ischiocrurali o dello stesso ileopsoas, gruppi che coadiuvano la fase di trazione della pedivella. In tal modo, una sollecitazione del genere, come riportato in paragrafi precedenti, ha provocato una maggiore efficienza di pedalata. Un altro aspetto fondamentale dei protocolli di allenamento a secco è la combinazione con quelli di resistenza in bicicletta. È ovvio come l'allenamento di forza apporti benefici solo se combinato con un training specifico di resistenza, come deve essere rispettato un protocollo che preveda poche sedute


all'interno della settimana del microciclo. Tali accorgimenti sono determinanti in quanto, privilegiando eccessive sedute di forza rispetto a sessioni di resistenza, potrebbero portare a decrementi delle unità motorie di tipo IIA per favorire unità di tipo IIX-IIB scarsamente resistenti alla fatica. In seguito ai primi adattamenti neuromotori ottenuti in palestra, gli stessi devono essere nuovamente sollecitati con esercizi più specifici in bicicletta, allenando le diverse forme di espressione di forza e badando bene a privilegiare le espressioni più adatte alle caratteristiche del ciclista (ad esempio, forza dinamica, forza esplosiva) in modo da "trasformare" la forza massima ottenuta al modello funzionale del ciclista. In conclusione, il paradigma dell'allenamento di forza nel ciclista persiste, in quanto sussistono numerosi quesiti più relativi alla periodizzazione di tale allenamento, ma soprattutto se il training della forza in un ciclista professionista possa realmente giovare vantaggio alle prestazioni globali dello stesso. Considerando che un "pro" deve raggiungere 30.000 km all'anno, sottrarre ore in bicicletta per concentrarsi su questa capacità condizionale potrebbe creare decrementi di VO2max nel lungo termine; il tutto comunque determina miglioramenti di prestazione, ma solo se somministrati con accuratezza, nei giusti periodi e senza togliere ore al classico allenamento di "resistenza" in bicicletta

A cura di:

Dott. Antonio Trifilio

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